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Elogio dell’outlet

 
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Autore Messaggio
Antonio Scurati
Ospite





MessaggioInviato: Mar Ott 10, 2006 7:34 pm    Oggetto: Elogio dell’outlet Rispondi citando

SERRAVALLE SCRIVIA (Alessandria).
«Perché non ci costruiscono anche degli alberghi qui dentro? Così uno non deve nemmeno più uscire per andare a casa a dormire e il giorno dopo può continuare!»
L'idea la suggerisce il maschio di una coppia di trentenni obesi mentre si lascia andare su di una panchina ergonomica. E' carico fino all'inverosimile di sacchetti finto-povero marchiati da svariate griffe dell'abbigliamento e si sta avviando al parcheggio dove la sua capiente auto da fuoristrada lo attende per ricondurlo a casa dopo una caccia formidabile. Siamo all'ingresso del Designer Outlet di Serravalle Scrivia, in un tardo pomeriggio di una magnifica giornata di sole ottobrino. Il desiderio di un internamento dolce e volontario in questo paradiso artificiale dello shopping viene formulato con assoluto candore, senza il benché minimo sarcasmo. Del resto, come dargli torto? Non ci insegnò già Baudelaire, in pieno Ottocento, che nella modernità tutti i paradisi sono artificiali?

Un eden posticcio
Anche io, al pari del cliente immalinconito dalla partenza, sono arrivato qui in mattinata e ho trascorso quasi l'intera giornata nel «piccolo borgo lontano dal traffico, costruito secondo lo stile tipicamente ligure e piemontese, immerso nelle verdeggianti colline del Gavi, che ti accoglie con più di 170 negozi delle grandi marche di abbigliamento, sport e accessori. Uno spazio unico nel suo genere, 35000 metri quadrati di superficie calpestabile dove le boutique delle firme più prestigiose ti accolgono con offerte sensazionali, prezzi ridotti tutto l'anno dal 30% al 70%, provenienti dalle collezioni delle stagioni precedenti o dalle eccedenze di produzione. Il tutto in un contesto rilassante e piacevole, che offre un vasto parcheggio, bar, ristoranti e una grande area gioco per bambini. Una pausa di piacere nella città delle grandi firme». Così, almeno, recita il linguaggio promozionale della brochure pubblicitaria che ho ritirato all'ingresso. E così è. Non c'è, infatti, lingua più congrua a questo microcosmo di quella della comunicazione pubblicitaria; non c'è lingua più adatta a descrivere questo eden posticcio della società degli iperconsumi di quella del marketing avanzato.
«Lasci fuori l'intellettuale e lo scrittore e faccia l'esperienza», mi suggerisce, con una buona dose d'insolenza, la responsabile comunicazione e marketing. Ma ha ragione lei: mantenere la distanza critica non aiuta a capire, perché l'esperienza a cui si allude, in questo come in molti altri casi di postmoderni dispositivi per la produzione artificiale dell'esperienza, è un'esperienza di immersione. Se all'inizio della fantasmagoria del moderno, l'acquirente aveva ancora bisogno della vetrina come soglia di mediazione fra sé e lo spettacolo delle merci, ora invece, in luoghi come i designer outlet, si vuole e si può entrare dentro lo spazio delle proprie visioni consumistiche. L'outlet è come un film dei fratelli Wachowski o di Tony Scott: non lo si guarda più, ci si immerge. Se non ti tuffi, non sai di cosa si tratta.
L'esperienza è quella di una gradevole passeggiata in ampi viali circolari, fiancheggiati da finte abitazioni in cui nessuno abita, che conducono a due ariose piazze ingentilite dallo zampillio di giochi d'acqua che nessuno guarda; una passeggiata cullata da un capillare impianto di filodiffusione che alterna musiche d'ambiente ad annunci gaudiosi sulle ultime promozioni commerciali, una camminata protetta da un sistema di sorveglianza e da vigilanti discreti, igienizzata da efficientissime squadre di pulitori in servizio permanente, inframmezzata da riposanti soste su panchine posizionate in punti strategici, costellata da liberi ingressi in boutique dove si viene squisitamente accolti con un protocollo da nursery: un cortese «buongiorno» all'ingresso, garbate offerte di accudimento e non meno cortesi saluti all'uscita, anche in assenza di acquisti. Un mondo lindo, protetto, accogliente, perfettamente fruibile e pienamente fungibile, da cui il conflitto sociale è stato definitivamente estirpato, un mondo di armonia primigenia, dove la toponomastica rimanda alla semplicità essenziale dei punti cardinali («piazza levante», «viale ponente», etc.), un mondo dove non è possibile smarrirsi, dove trovi sempre parcheggio, dove la gente è gentile, dove i bambini possono scorazzare liberamente. Insomma, tutto quello che il nostro mondo non è più, o non è mai stato. Un mondo dove l'unica cosa che ti rimane da fare è comprare. Nel nuovo mondo, come aveva previsto Aldous Huxley, la gente viene tenuta sotto controllo non con le punizioni ma con piacevolezze. Cortesie per gli ospiti.
E fate attenzione: non si cela nessuna fregatura dietro questa cosa di cartapesta. Riccardo Lera, l'assessore alla cultura di Serravalle, mi racconta che l'insediamento dell'outlet è avvenuto senza il minimo trauma, portando con sé soltanto benefici. Nessuna ricaduta negativa sul piccolo commercio (che, anzi, ha preso a modello la capacità di «fare sistema» dell'outlet e si è andato specializzando nel mercati commerciali di nicchia, rivalutando le tradizioni enogastronomiche locali), nessuna opposizione ambientalista (il vero scempio architettonico e urbanistico era stato già consumato dai palazzinari degli anni '70), nessun conflitto sociale (il complesso commerciale, a regime, dà lavoro, in modo diretto o indiretto, a circa 2000 persone, sebbene spesso lavoro precario).

Era un posto disgraziato
D'altronde, Serravalle era «un paese disgraziato di suo». Dopo la crescita smisurata degli anni '70 e la crisi industriale degli '80, sono venuti il crollo del mercato immobiliare e l'immigrazione selvaggia di clandestini non censiti (più di un terzo della popolazione oramai). Sugli 800 studenti del comprensorio scolastico, 200 sono oggi figli di extracomunitari, di ben 45 diverse etnie. Nel 2003 il terremoto distrusse la scuola elementare. Da allora, sono stati spesi 3 milioni di euro in interventi di edilizia pubblica scolastica, quasi tutti finanziati con gli oneri di urbanizzazione pagati dall'outlet. Inoltre, la McArthur Glen, proprietaria del complesso, finanzia generosamente le attività culturali, la principale delle quali ruota attorno a un sito archeologico dove si sta disseppellendo l'antica città romana di Libarna. La città artificiale del commercio riporta alla luce la antica città archeologica sepolta. Se non fosse vero, si penserebbe a una metafora inventata ad arte.
«E poi - conclude l'assessore - nessuno si radica da queste parti per più di tre generazioni. Siamo sulle grandi vie di comunicazione. Le ragioni per cui 2000 anni fa sorse in questa zona la città romana sono le stesse che ci fanno sorgere oggi la città dello shopping. Siamo in un punto di passaggio, siamo la porta di accesso dalla riviera ligure alla pianura. Pensi che hanno dovuto chiedere anche un'autorizzazione al ministero della difesa. E' una posizione strategica questa. Ma, allo stesso tempo, da queste parti tutto scorre. La gente va». L'assessore parla del suo piccolo paese incistato nella valle dello Scrivia, il paese in cui suo padre venne dall'Emilia a costruire l'autostrada per Genova, ma sembra che stia parlando di tutto il mondo. Quel grande mondo dove le strategie di marketing commerciale ritrovano il significato originario della concezione strategica nella dimensione propriamente militare. Quel mondo dove «la gente va».
Insomma, non c'è nessuna fregatura nell'outlet di Serravalle Scrivia. E' vero che, strettamente apparentato ai più classici spazi dell'anonimato contemporaneo (autostrade, stazioni, mezzi di trasporto, tracciati di scorrimento veloce) calza a perfezione nella celebre definizione di nonluogo data da Marc Augé: uno spazio che non può definirsi né identitario né relazionale né storico, dove non si costituiscono identità, dove non si stabiliscono relazioni, dove non si sedimenta la storia; dove l'individualità solitaria è spinta al passaggio veloce, al provvisorio, all'effimero, a compiere i gesti di un commercio muto, di un consumo del presente. E' così, indubbiamente, ma il paradiso dello shopping non promette niente di diverso. E lo mantiene. Non si cela nessuna fregatura dietro questa cosa di cartapesta. Semmai, se la cartapesta non ci piace, la fregatura è la cosa stessa.
E poi, come insegna lo stesso Augé, non esiste forma pura, né di luoghi né di non luoghi. Le relazioni si ricompongono ovunque, le identità imparano a fluttuare, la storia di queste terre è gia passata dal McArthur Glen Outlet di Serravalle il giorno del suo insediamento. Come mi fa notare la responsabile marketing con il suo linguaggio pronto per l'uso, l'outlet «non è soltanto un luogo correlato alla mission shopping». Sulle panchine, quelle panchine che non trovano più in paese, i vecchietti di Serravalle ci vengono a leggere il giornale, nelle piazze linde i genitori ci portano i bambini a giocare. Soprattutto, la gente, oramai, quando dice «siamo a Serravalle», ha cominciato a riferirsi all'outlet.

Modeste pretese
Mentre torno a casa verso Milano, la grande città infernale, anche io mi sento contento di aver trascorso una giornata nel piccolo paradiso artificiale. Non proprio felice (che la felicità è cosa più complessa) ma contento sì. Il sole tramonta sulla campagna lombarda, io sfreccio a 150 all'ora in un paesaggio di marcite e pioppeti. E canto. Sono solo, non sono più nessuno, non ho storia. Ho cinque buste piene di scarpe e vestiti nel bagagliaio. E sono contento.
Poi, dalle parti di Binasco, la maledizione dell'intellettuale mi riagguanta. Penso ai giovani ufficiali napoleonici che prima distrussero e poi rifondarono questa cittadina perché rinascesse battezzata dall'acqua e dal fuoco degli ideali rivoluzionari - libertà, fratellanza, uguaglianza - gli ideali che quei giovani travolgenti portavano in giro per l'Europa sulle punte delle loro sciabole. Ci penso e mi accorgo che noi, oggi, ci accontentiamo davvero di poco. Ci appaghiamo di un mocassino sfibbiato. Forse la colpa dell'Occidente iperconsumista non sta in una sua presunta violenza divoratrice ma, più modestamente, nella modestia delle sue pretese. Nella pochezza dei suoi appetiti.

L’esplosione di un fenomeno
IN ITALIA
Il fenomeno degli Outlet, in continuo sviluppo, conquista spazio anche su internet. In rete esistono siti specializzati che forniscono mappe e informazioni come www.bestoutlet.it o www.guidaspacci.it, che propongono forum, classifiche, consigli per gli acquisti.

LIBRI
«Outlet: la rivoluzione dei consumi» di Marina Martorana e Giacomo Ferrari, Sperling & Kupfer; «Dal mercato ambulante all'outlet. Luoghi e architetture per il commercio», Compositori; «Guida agli spacci», De Agostini Rizzoli; «Annuario spacci», Morning; La guida agli spacci e allo shopping di qualità in Italia» di Marina Martorana, Sperling; «Shopping con poco», Green Volunteers.

IN RUSSIA
Il primo outlet russo è targato Italia. Sarà realizzato a San Pietroburgo dal gruppo Margheri di Firenze.La struttura, che costerà 100 milioni dollari, ospiterà oltre 200 negozi. Al decimo piano del centro commerciale ci saranno anche un mare e una spiaggia finta.
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